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di Gloria Giacchino

La povertà mestruale è l’impossibilità economica di potersi permettere i supporti igienici adeguati per affrontare e gestire le mestruazioni. Al riguardo il nostro Paese vive una situazione dicotomica dove, secondo l’ultimo rapporto Caritas (2020), ‘’il numero delle donne che hanno chiesto aiuto da maggio a settembre, subito dopo il lockdown, sono state il 54,4% contro il 50,5% del 2019’’ e contemporaneamente vige la tassazione del 22%, quota prevista per i beni di lusso su assorbenti e tampax.

Il tentativo di sublimare il problema porgendo a tutte le donne il consiglio: ‘’utilizza una coppetta mestruale!’’, sottintendendo che ‘’si paga una volta, la si tiene per anni’’, fallisce infatti miseramente di fronte a dati del genere, che ci suggeriscono piuttosto come l’accesso ai presidi igienici si scontri con il fattore povertà. 

La realtà è sempre più complessa e dura di quanto una soluzione ‘’intuitiva’’ possa suggerire di risolvere. I dati ISTAT 2018, oltre ai dati Caritas 2020, evidenziano una situazione in cui 2 milioni e 475 mila donne vivono in povertà assoluta, in una condizione che quindi non permette di acquistare neanche la coppetta mestruale. Resta fuori dalle analisi statistiche un’importante fascia rappresentata dalle persone transessuali che, spesso marginalizzate, possono anch’esse trovare difficoltà economiche nel reperire l’attrezzatura sanitaria adeguata. A ciò si aggiungono le personali scelte di consumo: se è vero che molte donne trovano comoda la coppetta, è altrettanto vero che altre trovano questa opzione non valida.

Nella scelta dei dispositivi igienici da utilizzare ci sono infatti altre variabili da considerare oltre quella economica, che possono appartenere a uno spettro molto ampio: poca confidenza/disagio e/o poca conoscenza del proprio corpo, incompatibilità strutturali dell’utero, preferenze legate ad una sensibilità specifica ai materiali della coppetta o degli assorbenti, crampi più dolorosi durante la mestruazione e accesso ai servizi igienici.

Questo consiglio viene quindi recepito più come l’ennesima espressione su come un altro essere umano debba gestire il corpo altrui, piuttosto che come una valida alternativa. A risolvere un problema del genere dovrebbe arrivare la non così tanto ovvia consapevolezza che il ciclo non sia una scelta, bensì un fenomeno naturale, e come tale merita di essere trattato.

Alcuni dati raccolti da Plan International UK in Inghilterra, chiariscono l’entità del problema: il 10% delle ragazze ha dichiarato l’impossibilità di reperire dispositivi sanitari idonei, mentre il 15%  dichiara una difficoltà di accesso, il 14% si è ritrovato in condizioni di chiedere i prodotti a un’amica, il 12% che ha dichiarato di improvvisare un’alternativa ai prodotti necessari, mentre il 19%, sempre a causa del costo, ha dichiarato di aver optato per alternative meno adatte. Per affrontare questa emergenza il Regno Unito ha quindi azzerato le tasse sui prodotti usa e getta,  mentre la Scozia, a partire dal 2020, ha dato il via alla distribuzione gratuita di assorbenti e di tutti i prodotti di base necessari nel periodo delle mestruazioni, presso università, scuole, ristoranti e pub.

In Italia, il 22 aprile 2021, il Consiglio Comunale di Firenze ha deciso di abolire la tampon tax votando a favore dell‘eliminazione dell’Iva sugli assorbenti in ventuno farmacie della città. Un intervento simbolico, valido solo fino al 2022, ma che segna la strada ad un provvedimento necessario per l’equità sociale ed economica.

Tuttavia gli esempi di buone pratiche, messe in atto grazie a politiche sociali sensibili ai bisogni reali, rimangono pochissimi. Per la maggior parte dei Paesi il fenomeno della povertà mestruale è ben lontano dallo svanire: lo stigma che lo nutre si alimenta anche a causa del silenzio e della mancanza di dibattito attorno al tema. 

Secondo l’Unicef, una scuola al mondo su tre manca dei luoghi igienici adatti per gestire il periodo mestruale: in India, per esempio, l’assenza di luoghi adeguati è una delle cause principali di abbandono scolastico e del conseguente aumento del rischio di gravidanze adolescenziali e di matrimoni infantili, contribuendo ad ampliare i divari socio-economici già esistenti. In Nepal, la pratica ancestrale del “Chaupadi prevedeva che le ragazze durante la fase mestruale dovessero dormire fuori casa. Anche se questa usanza è stata dichiarata illegale solo nel 2017, nel 2018 è stata la causa della morte di una ragazza.

Il problema ha sfumature complesse che non hanno necessariamente a che fare con pratiche persecutorie o ostracistiche  ma si connettono fortemente a comportamenti ben più sottili: superficialità, indifferenza, scarsa volontà di approfondire il fenomeno, sottovalutandolo. Come ha dichiarato Laura Croyton, studentessa dell’Università di Oxford, ideatrice della campagna ‘’Stop Taxing Periods’’, diventata in Inghilterra argomento di dibattito entrando così nell’agenda politica governativa: ‘Tassando le donne che hanno il ciclo mestruale, i governi sottintendono che sia un lusso per loro partecipare alla vita pubblica una volta al mese, e che la società non valorizza il loro contributo.’’  Un errore di sistema insomma, un errore di valutazione dei veri bisogni sociali, che come al solito grava su una sola rappresentanza della popolazione.