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di Petra Cattano e Gloria Giacchino, volontarie del progetto Qanat

Negli ultimi anni il mondo è stato travolto da una rivoluzione green che ha smosso le coscienze di una grossa fetta della popolazione globale, la quale ha iniziato a cambiare le proprie abitudini per ridurne l’impatto negativo sull’ambiente. Tuttavia, nonostante il tema portante della battaglia green sia la lotta alla plastica, in pochissimi parlano della necessità di rimodulare il consumo di acqua in bottiglia a favore dell’acqua in rubinetto. La bottiglia da due litri è ormai entrata a far parte del nostro arredamento. Sappiamo che è fatta di plastica, ma la riteniamo necessaria e insostituibile. Ma è davvero così? Ne abbiamo realmente bisogno? 

Se, da un lato, ci rendiamo conto del fatto che l’acqua che beviamo è contenuta in una bottiglia di plastica, dall’altro non riusciamo ad accorgerci che il rubinetto contiene una fonte d’acqua per certi versi più controllata, di qualità più elevata e che, a parità di volume, costa anche duemila volte in meno. 

Risulta dunque legittimo, se non necessario, chiedersi per quale ragione ci sentiamo più al sicuro bevendo l’acqua che fluisce in pareti di plastica? Qualcuno ci ha convinti? Per rispondere dobbiamo risalire alla nascita dell’acqua in bottiglia. Siamo nell’America degli anni Settanta, e il consumo di soda e di bevande zuccherate è sempre più crescente. Le aziende produttrici ne traggono un enorme profitto, ma si pongono comunque una domanda sullo scenario che potrebbe presentarsi qualora i consumatori diventino critici sull’impatto della soda sulla salute, preferendo la semplice acqua del rubinetto. Per evitare il crollo delle vendite della soda e bevande simili, le aziende iniziano a produrre una bevanda alternativa alla soda, ma con lo stesso packaging: l’acqua imbottigliata. 

Come sono riusciti a vendere un prodotto di cui non esisteva la domanda, di cui la gente non sentiva il bisogno? Costruendo da zero un bisogno, attraverso il marketing che ha fatto leva su una triade di azioni: spaventare, sedurre, fuorviare. Si comincia rendendo scettica la gente riguardo la reale salubrità dell’acqua dal rubinetto, mandando in onda pubblicità che relegano l’utilizzo dell’acqua del rubinetto al solo lavaggio di piatti e utensili. Parallelamente, si utilizzano immagini paradisiache di ghiacciai e sorgenti montane che “documentano” la provenienza dell’acqua in bottiglia, inducendo il consumatore a ritenere che sia pura e incontaminata, e che il fatto dello ‘’sgorgare naturalmente’’ renda questa scelta non solo salutare, ma anche etica nei confronti dell’ambiente. 

Oggi si continua ad adottare la stessa tecnica, al passo coi tempi: si seduce il consumatore con l’offerta di uno status green apprezzato dalla società. Quindi le aziende rilanciano con la plastica biodegradabile: una scelta etica per l’ambiente, ma anche per noi. Apporta pure beneficio alla salute: in pubblicità si vedono le immagini di atleti, che incarnano purezza e salute, i quali bevono quella bottiglia d’acqua perché possiede alcune caratteristiche presentate come uniche, mentre invece accomunano tutte le acque, comprese quelle dei rubinetti. Eppure, in America la produzione di plastica per imbottigliamento utilizza una quantità di petrolio utile a fornire il pieno a un milione di macchine e sappiamo, anche, che la produzione delle 329 bottiglie consumate da un cittadino italiano annualmente immettono nell’atmosfera 67kg di CO2.

Ma di questo in pubblicità non si parla. Gli spot mirano soltanto a ricondurre nell’immaginario dello spettatore-consumatore, un’acqua quasi sacra, che sgorga da una sorgente pura, limpida, trasparente, diversa da quella che passa dalle tubature delle nostre città. E qui subentra l’azione di fuorviare il consumatore, che si ritrova inondato di dati e informazioni contrastanti e non verificabili.

Che fare? Decostruire una domanda fittizia fabbricata cinquant’anni fa pare, ad oggi, la ripida strada da percorrere, e il prossimo step consisterà nel convincere la gente a consumare un’acqua che possiede le stesse caratteristiche dell’acqua in bottiglia (perché le possiede),  che può ricevere direttamente in casa e in modo gratuito: l’acqua del rubinetto.

Fonti: