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L’acqua dei nostri acquedotti è tra le più controllate al mondo. Eppure in Italia ogni anno si consumano 8 miliardi di bottiglie da 1,5 litri di acqua minerale. Un dato esorbitante che ci rende uno dei primi tre Paesi al mondo per consumo di acqua in bottiglia, con il Messico e l’Arabia Saudita, e il primo consumatore in Europa. Il danno per l’ambiente è incalcolabile: la plastica delle bottiglie invade i nostri ecosistemi, dai ghiacciai agli oceani, inquinandoli in modo permanente e le sue particelle invisibili arrivano persino nei nostri piatti. A questo si aggiunge anche lo spreco economico: un litro di acqua minerale in bottiglia costa in media 312 volte in più di un litro di acqua del rubinetto.
Nonostante l’Italia sia ricca di acqua, e per lo più di buona qualità, alcune criticità nel sistema di approvvigionamento, di gestione e di controllo spesso contribuiscono ad alimentare la sfiducia nei confronti dell’acqua del rubinetto, che oggi riguarda circa un terzo delle famiglie italiane. Si tratta però di situazioni puntuali, per lo più note e segnalate dalle autorità competenti, che non devono essere generalizzate. I controlli sull’acqua che arriva nelle nostre case sono dettati dalle normative vigenti, sono molto accurati e frequenti. In alcuni territori si sta inoltre iniziando ad applicare un piano di sicurezza per l’acqua potabile, che prevede più controlli, più prelievi, più parametri nell’intera filiera idro-potabile, da quando l’acqua entra nell’acquedotto fino al punto di erogazione finale. Non è dunque veritiera la percezione comune dell’acqua del rubinetto meno salutare e meno controllata di quella in bottiglia.

A pagare i costi dei nostri consumi è soprattutto l’ambiente destinazione finale di tonnellate di materiali abbandonati all’incuria.

Il Mediterraneo è un ecosistema caratterizzato da elevata biodiversità ma anche uno tra i più minacciati al mondo dai rifiuti marini, che su scala globale sono composti principalmente da plastica. Sono 570mila le tonnellate di plastica che finiscono ogni anno in acqua, l’equivalente di 33mila bottigliette al minuto.
Almeno 116 specie diverse nel Mediterraneo hanno ingerito plastica e risultano compromesse dai rifiuti marini: il 59 per cento di queste è rappresentato da pesci ossei, inclusi anche quelli di interesse commerciale, sardine, triglie, orate, merluzzi, acciughe, tonni, scampi, gamberi rossi; mentre il restante 41 per cento è costituito da altri animali marini come mammiferi, crostacei, molluschi, meduse, tartarughe, uccelli.
La plastica raggiunge il mare a causa di una cattiva gestione dei rifiuti, ma anche per la sovrapproduzione di imballaggi e prodotti monouso che vengono messi in circolazione dall’industria alimentare e non solo. Se c’è troppa plastica nello stomaco dei pesci è anche a causa di buste e bottigliette che diventano vettore di trasporto o ambiente di vita per diverse specie.
La plastica può colpire gli organismi marini attraverso l’ingestione e l’intrappolamento, mentre gli impatti variano a seconda del tipo e delle dimensioni. Almeno 44 specie marine sono soggette ad intrappolamento nella plastica (la tartaruga marina Caretta caretta è la specie mediterranea più soggetta ad intrappolamento), che spesso determina la morte per affogamento, strangolamento o denutrizione, soprattutto per i mammiferi marini.

Qanat vuole stimolare una riflessione sull’impatto ambientale di ogni nostra piccola azione quotidiana, ma soprattutto sfatare luoghi comuni e abbattere pregiudizi o false credenze sul consumo di acqua dal rubinetto o dalle fontanelle. Quando acquistiamo una bottiglietta d’acqua minerale chiediamoci qual è il costo reale, non solo per le nostre tasche, ma soprattutto per l’ambiente. Dalla produzione allo smaltimento, qual è il suo impatto?