A few days ago, at the “Ferrara” Institute in Palermo, we brought into the classroom the Italian data included in the European collection on stophatespeech.eu and turned them into an open workshop that used numbers to give language and context to a phenomenon affecting many adolescents: online body shaming. Through participatory methodologies and gamified activities, students “handled” the data—interpreting them, questioning them, and testing them against their everyday experience. This work made it possible to move beyond a purely descriptive stance toward workable strategies, highlighting the impacts on relationships within school communities and in everyday online environments.
The discussion broadened thanks to the presence in class of racialised people and people with disabilities, who helped read body shaming along often invisible lines—how it changes when a body is not read as “white,” when it does not fit dominant notions of “ability,” when stereotypes and barriers compound. The same approach guided the entire transnational process of data collection and visualisation, adopting a transfeminist and intersectional perspective that seeks to include marginalised voices while recognising biases and power asymmetries that shape both language and algorithms.
Together with teachers, we examined the role of educational institutions, identifying existing tools and areas for improvement and outlining a stable alliance between schools, non-formal education and the wider educational community capable of turning episodic awareness-raising into structural prevention. The discussion surfaced ideas and proposals closely tied to the needs identified: periodic cycles of digital literacy tailored to class levels, listening and support spaces, peer-education pathways, and the use of data visualisation to open informed and less polarised debates. A shared understanding took shape from the classroom experience: when schools create spaces for non-formal education, efforts to counter hate take a qualitative leap because they offer the time, language and tools to name what often remains implicit, linking numbers to stories and turning statistics into lived experience. This is how the bar of individual and collective responsibility in digital spaces is raised, and how we learn not only how such phenomena emerge but, above all, how to interrupt them.
We will continue to bring this methodology—developed with Elephant Talk—into classrooms and public debates, so that open, participatory digital education increasingly becomes a tool for social justice.
* The presentation event is part of Elephant Talk, a project conceived by Maghweb in collaboration with Impact Hub Labs, Polylogos and Young Educators, funded by EACEA under the CERV programme—strand “Citizens’ engagement and participation.”
Qualche giorno fa, all’Istituto “Ferrara” di Palermo, abbiamo portato in classe i dati italiani confluiti nella raccolta europea di stophatespeech.eu e li abbiamo trasformati in un laboratorio aperto che ha usato i numeri per dare parole e contesto a un fenomeno che tocca molt3 adolescenti: il body shaming online. Attraverso metodologie partecipative e dinamiche di gamification, l3 student3 hanno “maneggiato” i dati, li hanno interpretati, messi in discussione, verificati contro la propria esperienza quotidiana. Il lavoro ha così consentito di superare la dimensione puramente descrittiva per orientarsi verso strategie praticabili, evidenziando gli impatti nelle relazioni all’interno delle comunità scolastiche e nei contesti online quotidiani.
Un dibattito che si è allargato grazie alla presenza in classe di persone razzializzate e persone con disabilità, che hanno aiutato a leggere il body shaming lungo linee spesso invisibili: come cambia quando un corpo non è letto come “bianco”, quando non rientra nell’idea di “abilità” dominante, quando stereotipi e barriere si sommano? È lo stesso approccio che ha guidato l’intero percorso transazionale di raccolta e visualizzazione dei dati grazie all’uso di una prospettiva transfemminista e intersezionale, attenta a includere voci marginalizzate, riconoscendo bias e asimmetrie di potere che strutturano tanto il linguaggio quanto gli algoritmi.
Con l3 insegnanti abbiamo approfondito il ruolo delle istituzioni educative, mettendo a fuoco gli strumenti già disponibili e le aree di miglioramento, e delineando un’alleanza stabile tra scuola, educazione non formale e comunità educante capace di trasformare la sensibilizzazione episodica in prevenzione strutturale. Dal confronto al confronto sono emerse idee e proposte strettamente ancorate ai bisogni rilevati: cicli periodici di alfabetizzazione digitale, sportelli di ascolto, percorsi di peer education e l’impiego della data visualization per aprire dibattiti informati e meno polarizzati. Dal lavoro in classe è maturata la consapevolezza condivisa che quando la scuola apre spazi di educazione non formale, i percorsi di contrasto all’odio fanno un salto di qualità perché offrono tempo, linguaggio e strumenti per nominare ciò che spesso resta implicito, permettendo di legare i numeri alle storie e di trasformare la statistica in esperienza. È cosi che si alza l’asticella della responsabilità individuale e collettiva nello spazio digitale e si impara a riconoscere come si genera un fenomeno ma soprattutto come si interrompe.
Continueremo a portare in classe e nei dibattiti pubblici la metodologia elaborata con Elephant Talk*, perché l’educazione digitale aperta e partecipata diventi sempre più strumento di giustizia sociale.
*L’evento di presentazione rientra nelle azioni di Elephant Talk, progetto ideato da Maghweb in collaborazione con Impact Hub Labs, Polylogos e Young Educators, finanziato da EACEA nell’ambito del programma CERV – linea “coinvolgimento e partecipazione dell3 cittadin3”.

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