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Tentare di tornare ai processi, alle fasi, ai passaggi cronologici. Fermarsi in ognuno di questi, senza scadenza, senza che si possa far troppo tardi. Restare vigili, che la vita in tutte le sue cose ha un prima e un dopo, ha un flusso, e se te ne perdi un passaggio puoi perderti il senso, perfino tu. Coltivare quel famoso coraggio, quello che ci permetta di stare serenamente soli o addirittura rischiare di voler stare insieme. Tornare indietro, a prima di quando essere un ingranaggio iniziò a suonare male a sembrare poco. Quando per dire qualcosa dovevi assemblarla, metterne insieme i pezzi. Quando le parole – ed il senso sotteso – andavano messe in fila, tentando e ritentando, tornando indietro, ripetendosele dentro per capire che suono avessero, che emozione offrissero. Quando per dare forma al pensiero cooperavano mille rotelle, macchinosamente. Quando i rulli inchiostravano scorrendo sul carro, ed entrambi erano consapevoli della semplicità dell’azione. Recuperare l’attitudine disobbediente di fronte a ciò che ci suggerisce che la condizione umana non ne valga la pena. Perché siamo brutti, ma non siamo ancora finiti.
Con l’augurio che per pronunciare una frase, una singola frase, si possa tornare a costruirla, a forgiarla, ad assemblarla, anche a costo di lavorarci attorno un’intera giornata. Perché in fondo siamo realtà, ed a questa ci auguriamo di tornare.

I nostri auguri per il nuovo anno siamo andati a imprimerli a Buenos Aires. Inchiostro su carta. In un luogo che è un ode all’analogico. Grazie al compagno Federico Cimatti per la maestria, la sua Prensa La Libertad per l’amore e Rodolfo Walsh per averci offerto se stesso.