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La comunità tamil di Palermo è una delle più grandi d’Italia. Sono quasi 8.000 i profughi che negli anni si sono stabiliti nel capoluogo siciliano, fuggendo dalla guerra civile in Sri Lanka. Nonostante il consistente numero dei cittadini tamil residenti a Palermo, la storia di questo popolo e le motivazioni che lo hanno portato alla diaspora sono poco conosciute. Una diaspora lunga trent’anni, e non semplicemente una migrazione, con più di 800.000 persone sparse nel pianeta e allo stesso tempo membri di una collettività unica anche se geograficamente frammentata. Una fuga da un genocidio che si articola in una rete mondiale di comunità tra loro costantemente in contatto – anche grazie all’uso di internet – ovunque essi si trovino.

E proprio a Palermo, terza città nel mondo per numero di residenti tamil, nasce il progetto per una pubblicazione scientifica che si inserisce nel campo disciplinare degli studi interculturali e indaga questo fenomeno migratorio così particolare: “Oltre la nazione – Conflitti postcoloniali e pratiche interculturali. Il caso della diaspora tamil”, edito dalla casa editrice Ediesse di Roma. Oggetto del libro è proprio la relazione interculturale che intercorre tra il “noi” europeo e la migrazione dei tamil provenienti dallo Sri Lanka. Un volume che raccoglie contributi di studiosi italiani e tamil: giuristi, avvocati, educatori, ricercatori in postcolonial o gender studies, ma anche rappresentanti della comunità palermitana tamil. Gli autori si impegnano in un dialogo alla pari, a volte discorde, ma proprio per questo ricco di senso e di conoscenze teoriche sul rapporto interculturale. A curare e mettere insieme le diverse voci è Giuseppe Burgio, dottore di ricerca in Pedagogia e già autore di altri articoli sul tema in Italia, Spagna e Stati Uniti e del volume “La diaspora interculturale. Analisi etnopedagogica del contatto tra culture: i Tamil in Italia”, oltre che membro del Tamil in Europe Research Network, una rete istituita per consentire ai ricercatori che lavorano con le popolazioni tamil in Europa di condividere idee e scambiarsi conoscenze sul tema.

Lo Sri Lanka risente più di ogni altra terra degli effetti devastanti delle diverse colonizzazioni: all’inizio del sedicesimo secolo furono i portoghesi e successivamente gli olandesi a mettere le mani sull’isola per avere il controllo dell’Oceano Indiano. In entrambi i casi era rimasta la divisione territoriale in regni, che si caratterizzavano per l’esistenza di un regno tamil nel nord-est e di due regni singalesi a sud-ovest: due popoli quindi, con differenti tradizioni storiche, lingue e cultura. Tra il 1796 e il 1811 cominciò la colonizzazione da parte degli inglesi, fino al 1948, anno in cui venne concessa l’indipendenza. Alla fine dell’ultima colonizzazione britannica, venne creato un unico stato, lo Sri Lanka, che unificò i due popoli fino ad allora separati. Un’unione forzata dalla quale emersero sin da subito dissapori e rapporti conflittuali: i singalesi, numericamente maggiori, si imposero sui tamil e iniziarono contro di loro una repressione sanguinosa che finora ha provocato più di 80000 morti. A loro volta i tamil crearono un gruppo armato di resistenza e di rivendicazione del diritto all’autodeterminazione, le cosiddette “Tigri Tamil”. Tutto ciò si tradusse nello scoppio di una guerra civile che durò ventisei anni, dal 1983 al 2009.

Un popolo perseguitato e torturato, in cui le donne per prime hanno subito le più atroci violenze, in una terra nella quale le autorità di governo hanno vessato e minacciato difensori dei diritti umani, giornalisti ed esponenti della magistratura e chi ha denunciato apertamente abusi di potere o si è adoperato per ottenere giustizia sul piano dei diritti umani, un’isola in cui le detenzioni illegali e le sparizioni forzate si sono diffuse e sono state compiute impunemente. Una comunità che ha avuto grandi difficoltà ad integrarsi, in un contesto sociale che non ha scelto volontariamente. Eppure i tamil hanno saputo mantenere i contatti con le comunità presenti nello Sri Lanka o sparse nel globo, hanno creato una loro economia alternativa basata su rapporti di fiducia, in grado di sostenere anche i tamil rimasti in patria: tutto questo superando ogni distanza geografica e non rinunciando all’enorme patrimonio identitario, culturale e linguistico negatogli nella propria terra.

La storia e le vicissitudini del popolo tamil hanno posto gli autori dei saggi di fronte ad una serie di questioni: perché il nazionalismo sembra ancora, forse più che in passato, diffuso in un mondo globalizzato? Come interagisce il nazionalismo con le politiche di genere? Come funziona l’identità “nazionale” in un contesto di migrazioni transnazionali? Possiamo ancora chiamare “migrazioni” i fenomeni diasporici, come quello dei tamil, che stanno trasformando le nostre società? Come possiamo discutere di intercultura in presenza del terrorismo internazionale?

“L’incontro tra i tamil dello Sri Lanka e i popoli dei Paesi europei dove migrano – scrive Giuseppe Burgio – costituisce non solo un case study, attraverso cui analizzare le complesse dinamiche dell’intercultura, ma anche il solo modo in cui l’intercultura può mostrarsi se non vuole essere solo un generico invito all’accoglienza dell’Altro, ma analizzare le differenze che interagiscono concretamente per poter poi proporre un modello di amministrazione pedagogica di questa interazione”.

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