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Jan Palach
Jan Palach

Era il 16 gennaio 1969 quando a Praga, un ragazzo di soli vent’anni, Jan Palach, si dette fuoco nel centro della capitale cecoslovacca per protestare contro l’invasione dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati.

Un anno prima, nel gennaio del 1968, con la presidenza di Alexander Dubcek era iniziata la cosiddetta “primavera di Praga”, una stagione di riforme che avrebbero dovuto dare una svolta relativamente democratica all’allora Cecoslovacchia. Il decentramento amministrativo ed economico, unito ad un allentamento delle restrizioni sulla libertà di stampa e movimento, erano le fondamenta su cui si sarebbe dovuta basare l’azione riformista di Dubcek, fu proprio lui a definire la sua politica come “socialismo dal volto umano”, nome diventato celeberrimo e usato a più riprese per indicare simili progetti di riforma all’interno di sistemi totalitari.

Come è facile immaginare, quanto accadeva a Praga non poteva essere tollerato da Mosca, fu così che tra il 20 e il 21 agosto 1968 una forza d’invasione composta da 300 mila soldati e 4.000 mezzi corazzati, formata dall’Armata Rossa e dagli eserciti dei Paesi del Patto di Varsavia, occupò la Cecoslovacchia mettendo fine, nel sangue, alle riforme.

Nonostante il Paese, complice l’assenza di resistenza da parte dell’esercito cecoslovacco, fosse stato occupato in poche ore e il governo di Dubcek sostituito con quello del più fedele Gustav Husak, le proteste dei cecoslovacchi contro gli invasori andarono avanti per mesi. Momento simbolicamente culminante del forte movimento di resistenza antisovietico fu proprio il rogo di Jan Palach, studente di filosofia ventenne, che si diede fuoco nella centralissima piazza San Venceslao, davanti il Museo Nazionale.

Il giovane, che affermò di essersi ispirato ai monaci buddhisti vietnamiti e che a causa delle ustioni morirà tre giorni dopo, lasciò anche una lettera in cui annunciava nuovi suicidi, “una nuova torcia s’infiammerà” per citare le sue parole, se le richieste dei riformisti non fossero state accolte. La repressione continuò e altri 7 studenti si uccisero dandosi fuoco ma la polizia e i giornali, sotto il controllo dei comunisti filosovietici, oscurarono le notizie lasciando nell’immaginario comune il solo Jan Palach come unico martire resistente.

Dopo i fatti di Praga, il governo di Husak effettivamente varerà alcune blande riforme ma che erano ben poca cosa rispetto al programma di Dubcek, mentre si dovranno attendere altri vent’anni prima del crollo del comunismo. Solo da quel giorno la figura di Palach è stata riscoperta ed è assurta al ruolo di patriota nell’ex-Cecoslovacchia. Non a caso nel 1989 la piazza nel centro di Praga che era intitolata all’Armata Rossa fu ribattezzata piazza Jan Palach e un monumento raffigurante una croce bruciata distesa per terra è stato eretto nel luogo del rogo del giovane Jan.

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