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giovanni_falcone_maghweb_23_maggio_palermoSabato 23 maggio del 1992, ore 17.58, gli abitanti di Capaci e dintorni sobbalzano per una fortissima esplosione.

Proprio in quel momento infatti era scoppiata la bomba che uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

L’attentato fu messo in atto da Cosa Nostra, posizionando l’ordigno sotto il manto stradale dell’autostrada A29 Palermo-Mazara del Vallo, all’altezza dello svincolo per Capaci.

La strage era stata pianificata qualche mese prima, per decisione ultima del boss Salvatore Riina. Nelle stesse riunioni tra Riina e numerosi altri esponenti dell’organizzazione mafiosa, furono decisi anche gli attentati all’allora ministro Claudio Martelli e al presentatore Maurizio Costanzo, almeno questi, mai realizzati o falliti.

Dopo la conferma degli ergastoli al “maxiprocesso” (il 30 gennaio 1992), voluto proprio da Falcone e dal suo amico e collega Paolo Borsellino, Cosa Nostra decise che era arrivato il momento di agire e di “vendicarsi”.

Tra aprile e maggio del ’92, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi (rispettivamente capi dei “mandamenti” di San Lorenzo, della Noce e di Porta Nuova) compirono una serie di sopralluoghi nei pressi della A29, nella zona di Capaci, per individuare un luogo adatto per posizionare il tritolo e dove appostarsi. Negli stessi giorni, gli altri componenti del gruppo che avrebbe materialmente eseguito l’attentato provarono varie volte il funzionamento dei congegni elettrici che sarebbero serviti per la detonazione.

La sera dell’8 maggio i mafiosi Brusca, La Barbera, Gioè, Troia e Rampulla provvidero a sistemare il tritolo, circa 500 kg, in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada, nel tratto vicino lo svincolo per Capaci, mentre nelle vicinanze Bagarella,  Biondino, Battaglia e Biondo svolgevano le funzioni di sentinelle.

Dalla metà di maggio Raffaele Ganci, con i figli Domenico e Calogero e il nipote Antonino Galliano si occuparono di controllare i movimenti delle tre Fiat Croma blindate che sostavano sotto casa di Falcone a Palermo, in modo da capire quando il giudice sarebbe tornato da Roma, dove lavorava dal novembre ’91 come direttore degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia. A questo si aggiunga la presenza di altre “sentinelle” romane, la cui o le cui identità non sono mai state appurate, che controllavano quando il magistrato sarebbe partito da Roma in direzione del capoluogo siciliano.Strage_capaci_falcona_scorta_palermo_maghweb

Quel tragico pomeriggio del 23 maggio fu Giovanni Brusca, su una collinetta sopra l’autostrada, ad attivare il telecomando che causò l’esplosione.

La prima blindata del corteo venne investita in pieno dall’esplosione e venne sbalzata dalla strada in un giardino di olivi a più di cento metri di distanza, uccidendo sul colpo gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. La seconda auto, la Fiat Croma bianca guidata da Falcone, si schiantò a circa 150 km/h contro il muro di asfalto, cemento e detriti innalzatisi per via dello scoppio.

Secondo le testimonianze di diversi pentiti, obiettivo secondario dell’attentato fu anche danneggiare Giulio Andreotti visto che proprio in quei giorni il Parlamento era riunito per eleggere il Presidente della Repubblica, e proprio Andreotti veniva considerato favorito per l’elezione finale. Alla fine infatti, forse anche a seguito della strage, la candidatura di Andreotti tramontò.

Il processo per la strage, che portò tra gli altri alla condanna all’ergastolo di tutto il gotha della mafia del tempo, iniziò nel 1995 per concludersi, tra rinvio in appello e stralci, con le condanne definitive nel 2008.

Numerose negli anni furono le voci di “mandanti occulti”, l’inchiesta, aperta e chiusa più volte, fu definitivamente archiviata nel 2013 dalla Procura di Caltanissetta, la quale, nel chiudere le indagini, pur escludendo la presenza di elementi esterni a Cosa Nostra per l’attentato di Capaci li rende invece probabili per altri stragi, quella di via D’Amelio su tutte.

Quello che è certo è che un giudice che aveva deciso di sconfiggere la mafia, fu ucciso barbaramente vicino Capaci. Questo però portò ad una presa di coscienza da parte dei cittadini e si iniziò a parlare davvero di mafia e di lotta alla stessa e ancora oggi, ogni anno, il 23 maggio varie manifestazioni si svolgono a Palermo e non solo per ricordare il sacrificio di uno degli eroi dei nostri tempi.